giovedì 24 dicembre 2015

Un guerriero senza patria e senza spada

Una volta scrissi che come insegnante mi sentivo un po' come don Chisciotte de la Mancha, cavaliere pieno di antico senso di protezione che lotta e si scaglia senza paura contro il male. Mi sentivo così proprio in virtù del fatto che la scuola è ed è stata bistrattata e nonostante tutto, noi insegnanti resistiamo e continuiamo il nostro lavoro con passione e fatica!
Reduce dagli scrutini di fine anno, oggi posso ribadire il concetto, in quanto ho fortemente avuto le stesse sensazioni anche con alcuni colleghi di lavoro. Alcuni insegnanti alzano barriere neanche tanto sottili tra loro e gli alunni. Barriere che nel corso del tempo diventano sempre più grandi e, come tutte le barriere, ostacolano la comunicazione. Così accade che ragazzi che con un docente dimostrano un comportamento partecipativo e un minimo di impegno, con un altro si dimostrano insolenti, demotivati e inattivi. Ricercare colpe per queste situazioni che in alcuni casi si ripetono stancamente e inesorabilmente con diversi docenti, non è utile.
È utile invece cercare di capire. Come è successo che tanti ragazzi si sono persi? Come è successo che non si sia riusciti come gruppo docente a motivare abbastanza per un successo anche minimo? Perché tanti nostri ragazzi in Italia lasciano la scuola senza essere riusciti a prendersi un diploma? Perché abbandonano, lasciano, mandano tutto e tutti a quel paese, non potendo capire che in quel paese già ci sono anche loro, come noi, come i milioni di Italiani che non credono più che si possa cambiare tutto ciò che non funziona, non credono neanche che ci sia qualcuno che invece ci spera ancora in un cambiamento di rotta.
Qualcuno che ti faccia sentire la voglia di vivere per un sentimento, per un ideale, o un'emozione. Qualcuno che creda che lei o lui possono essere parte integrante di questo miglioramento della qualità della vita sua e di altri. Qualcuno che è certo, e glielo dimostra in mille modi, che lei o lui abbiano un valore intrinseco, sacro e che la loro persona valga, nonostante le avversità, le incomprensioni, le assenze, sempre così ingombranti, nonostante la disgregazione dei legami sociali, lo sbiadirsi di quelle relazioni umane così inconsistenti e a volte dannose. Qualcuno che gli mostri che lei o lui hanno delle potenzialità, che tocchi il suo giovane cuore e mostri una via migliore, anche se non facile, una via giusta che tenga in considerazione chi è e da dove viene. Qualcuno che sia in grado di sentire la sua sofferenza, ma anche le sue aspirazioni; che l'ascolti e gli consenta di esprimersi liberamente.
È per tutti questi motivi che mi sono sentita come Don Chisciotte de la Mancha, prode guerriero sì, ma senza patria e senza spada.(13 giugno 2014)
Non basta
Non basta. Me lo ripeto sempre. Non basta. La scuola non può e non deve tenersi fuori dalle dinamiche sociali, economiche, culturali dei ragazzi che la frequentano. I ragazzi non devono poter frequentare solamente, ma devono vivere la scuola. Devono avere la possibilità di sentirsi parte di un processo di vita che li vede partecipanti, coinvolti, integrati. Tutti, nessuno escluso. Non basta quindi che noi insegnanti svolgiamo i nostri programmi. Non basta che svolgiamo lezioni di recupero per i più deboli. Non basta neanche adottare strumenti compensativi che facilitano lo studio. Dobbiamo valorizzare ogni singolo alunno, aiutarlo a sviluppare la propria unicità insieme agli altri.
Dobbiamo tenere conto del suo vissuto, della sua realtà familiare e sostenerlo nel suo percorso di crescita, con fiducia, rispetto e umiltà. I ragazzi hanno diritto a consulenze specialistiche di qualità e gratuite che collaborino con noi docenti, con i genitori e con i ragazzi, in modo sistematico e costante. Non basta punire. Non basta bocciare. Non basta escludere.
Dobbiamo tenere conto del suo vissuto, della sua realtà familiare e sostenerlo nel suo percorso di crescita, con fiducia, rispetto e umiltà. I ragazzi hanno diritto a consulenze specialistiche di qualità e gratuite che collaborino con noi docenti, con i genitori e con i ragazzi, in modo sistematico e costante. Non basta punire. Non basta bocciare. Non basta escludere.

giovedì 18 novembre 2010

 
VIGNETTA 20100929
VIGNETTA 20101118
vignetta 20100929
VIGNETTA 20101023
VIGNETTA 20101118
vignetta 20101023
  •    |   Roberto Ciccarelli
    Gli studenti rilanciano
    Le cento piazze riempite ieri dai liceali e dagli universitari hanno anticipato la sfiducia al governo Berlusconi. Manca ancora un mese alla discussione alla Camera, e tutto deve ancora accadere, ma nella giornata mondiale del diritto allo studio 200 mila tra studenti, ricercatori, genitori e iscritti ai sindacati hanno ribadito l'opposizione alla riforma Gelmini dell'università, ai tagli da 8,5 miliardi di euro alla scuola e di 1,3 all'università, mentre il fondo di 87 milioni erogato alle 28 università private viene protetto dalle forbici di Tremonti (il taglio è «solo» di 3,2 milioni). È l'ultima tappa di una lunghissima prova di forza che il governo Berlusconi ha iniziato più di due anni fa e che oggi non ha alcuna intenzione di abbandonare, anche a costo di affrontare un vietnam parlamentare prima della sua annunciatissima fine.

    Da parte degli studenti non giungono però segnali di stanchezza. Nel pieno di un autunno tormentato dalle polemiche di una maggioranza ridotta a brandelli, a Torino sono stati in tremila ad occupare la facoltà di matematica a Palazzo Campana, lì dove è iniziato il '68. A Roma, la città è stata messa a soqquadro dai cortei dei licei principali che sono confluiti in quello più grande - 10 mila persone - che ha «assediato» Montecitorio. «Di notte bunga bunga, di giorno finanzia le scuole private dei preti» si leggeva su uno striscione a Milano, dove la vetrina di una filiale della banca Fideuram in corso di Porta Romana è stata scheggiata e il vice-sindaco De Corato ha chiesto un «risarcimento» di 150 mila euro. La Flc-Cgil ha indetto un nuovo sciopero di 4 ore nelle università e di un'ora nelle scuole.

    «Sono solo vecchi slogan» è stato il commento sprezzante di Gelmini alle manifestazioni. È noto che questa crisi, gli studenti, non la vogliono pagare sin dai tempi dell'Onda. Quello che però due anni fa era ancora un auspicio, oggi purtroppo è diventata realtà. E infatti sui binari della stazione di Torino, come nelle strade accanto al Pantheon di Roma, lo slogan è stato trasformato in un più radicale «la crisi ve la creiamo noi». Facciamo attenzione alle parole, anche perché buona parte di questa battaglia si gioca sul senso assegnato dagli attori in lotta. Per il ministro dell'Istruzione Gelmini, la «crisi» - quella che gli studenti hanno buone ragioni per rifiutare - è diventata sinonimo di «cambiamento». Questa retorica, stanca e ripetitiva, mette in scena un rovesciamento del senso comunemente attribuito a questo concetto: ogni opposizione alle «riforme» viene tradotta nella dialettica tra «vecchio» e «nuovo». La realtà gelminiana prevede, da un lato, l'esistenza di chi è affezionato allo «status quo» e, dall'altro lato, quella di chi manifesta il «coraggio di cambiare».

    I conti però non tornano. E non solo perché i tagli all'intero sistema della conoscenza provocheranno il drastico ridimensionamento della formazione scolastica e universitaria. Ma soprattutto perché gli studenti - per età e per pragmatismo - guardano da sempre con un certo fastidio allo «status quo» preferendogli le ragioni di un serio cambiamento.
    Allora occorre rovesciare il discorso dominante a partire dallo striscione esposto l'altra notte dagli studenti milanesi in via Festa del Perdono: «Statale occupata in sciopero contro la normalità». Una normalità che gli studenti baresi hanno tradotto in uno striscione esposto davanti al provveditorato del capoluogo pugliese: «A violenza rispondiamo conoscenza». Violenza dei tagli, certo. Ma la vera violenza del berlusconismo non è solo quella del rigore di bilancio, ma il taglio della complessità che per la destra al governo sarebbe stata diffusa dal '68, negando ogni possibilità di valutazione.

    «Vogliamo creare menti semplici» ha dichiarato a suo tempo il ministro dell'Economia Tremonti. Forte di questo presupposto, sostiene lo scrittore (e insegnante) Girolamo De Michele ne La scuola è di tutti (Minimum Fax), il ministro Gelmini ritiene che tutto oggi deve essere classificato con i numeri, perché il giudizio e la libertà di ricerca introducono elementi di discrezionalità che spingono a coltivare un pensiero autonomo. È contro questo rischio che il governo sta agendo. Il suo obiettivo è riformare la mente degli italiani rispolverando i principi della semplificazione, della gerarchia e del nozionismo. In una società «diseducante» che non sa cosa farsene di studenti
    iperqualificati e di ricercatori che chiedono libertà di movimento, invece di andare alla radice del problema, si prova a cambiare il problema dalla radice. E così si cancella la conoscenza, cioè lo strumento che permette la mobilità sul lavoro e l'autonomia nella vita.



Brescia, espulso un immigrato
che guidava la protesta della gru

Il provvedimento riguarda un egiziano che era stato fra i protagonisti del presidio nel cantiere
L'avvocato: "Non ci è stato dato il tempo di presentare il ricorso. Cercheremo di farlo tornare"

E' stato espulso dall'Italia uno degli egiziani a capo della mobilitazione bresciana a sostegno degli immigrati saliti sulla gru contro la "sanatoria-truffa". Muhammad, detto Mimmo, è stato fatto salire su un volo Egyptair per il Cairo insieme con un connazionale, detenuto come lui al Cie di via Corelli, a Milano, ma che secondo l'associazione 'Diritti per tutti' non ha nulla a che fare con le proteste di Brescia.

Mimmo era stato fermato il 15 novembre a Milano, dove aveva partecipato a un presidio sotto al consolato egiziano contro le espulsioni di altri nove egiziani, anche loro attivi nelle mobilitazioni di Brescia. Per impedire l'espulsione di Mimmo - che accompagnò sulla gru don Mario Toffari in un tentativo di mediazione - sono arrivati a Malpensa una quarantina di militanti del centro sociale Cantiere e il suo avvocato, Sergio Pezzucchi. "Non ci è stato concesso - ha denunciato il legale - il tempo di fare ricorso contro il rifiuto della domanda di sanatoria fatta da Mimmo". In ogni caso "presenteremo comunque ricorso, magari per farlo rientrare in un secondo momento".

Pezzucchi ha appreso dell'espulsione intorno alle 12. Dopo aver recuperato il passaporto e gli effetti personali di Muhammad-Mimmo, si è precipitato a Malpensa. "Purtroppo è stato tutto così rapido che quando siamo arrivati, l'aereo era già in fase di decollo". Pare che Mimmo, sull'aereo abbia protestato a gran voce contro l'espulsione. L'egiziano era in Italia dal 2003 e lavorava come saldatore e informatico. Contro l'espulsione, dopo quello di Malpensa, si sono tenuti altri due presidi: uno a Milano, di fronte alla sede dell'Egyptair, e uno a Brescia, a pochi passi dalla gru.

Continua intanto la protesta dei tre immigrati saliti il 5 novembre scorso sulla torre in via Imbonati a Milano. In loro solidarietà sabato 20 novembre si terrà una manifestazione, che partirà dalla torre alle 15. A sostegno dell'espulsione si è espresso il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, per il quale questa misura "riafferma il principio della legalità". De Corato auspica che "la stessa fermezza sia applicata nei confronti degli altri clandestini che hanno protestato in via Imbonati". Di tutt'altro avviso Luciano Muhlbauer, coordinatore milanese del Prc, che invita "prefetto e questore di Milano a ignorare la richiesta di De Corato" e a "favorire invece una soluzione pacifica e concordata". Contro l'espulsione anche il senatore radicale Mario Perduca, secondo il quale questa misura "non aiuterà a governare le mobilitazioni degli immigrati di questi giorni".
(18 novembre 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA

lunedì 15 novembre 2010


BRESCIA

Gli immigrati scendono dalla gru
dopo una protesta lunga 16 giorni

Sotto una pioggia torrenziale hanno raggiunto le centinaia di sostenitori che li attendevano giù
Decisiva la mediazione garantita dai sindacalisti di Cgil e Cisl e dai rappresentanti della Diocesi

I quattro immigrati hanno lasciato la cabina della gru in via San Faustino a Brescia. Lentamente, uno dopo l'altro, hanno percorso a ritroso i gradini del braccio meccanico a 35 metri d'altezza su cui erano saliti il 30 ottobre. A terra, ad attenderli, centinaia di sostenitori della loro protesta.

Il reportage sulla gru

I quattro sono scesi intorno alle 20.50 sotto una pioggia battente e accolti dagli applausi, le grida e gli slogan ("giustizia, siamo tutti sulla gru" e "lotta dura senza paura") di oltre un centinaio di persone venute a portare la loro solidarietà e tenute a distanza dalle transenne presidiate dalle forze dell'ordine. Nello scendere i quattro hanno fatto diverse pausa lungo la struttura di metallo salutando tutti coloro che sono intervenuti nella piazza. Anche se non si conoscono i dettagli che hanno portato i quattro a interrompere la loro clamorosa protesta, sembra essere stata fondamentale l'ultima mediazione messa in campo dalla Diocedi insieme con i rappresentanti di Cgil e Cisl.

Prima di scendere gli immigrati, hanno calato dalla gru dei sacchi con le poche cose che avevano a disposizione e hanno lanciato alcuni slogan. I quattro sono stati presi in consegna dai loro avvocati, che dovrebbero accompagnarli in questura per l'identificazione.